La Storia

LA STORIA DEL MONASTERO DI SANTA CROCE

Verso la seconda metà dell’XI secolo a Vercelli le monache erano conosciute per la loro abilità nella formazione delle nobili giovinette. Nel 1533 Beatrice di Romagnano, contessa di Ronsecco, vedova del Conte Percivallo Bondoni di Castelnuovo e di Ronsecco, donò alle Canonichesse una sua proprietà, con orto e giardino, in Torino presso le mura della Città nelle vicinanze di porta Susina, a condizione che le monache convertissero la casa in Monastero sotto la Regola di Sant’Agostino, con aggiuntovi il titolo di Nostra Signora della Misericordia.
Quattro Canonichesse furono inviate da Vercelli a Torino per la fondazione del Monastero.
Non si sa quando il Monastero abbia assunto il titolo di “Santa Croce”, la prima volta che le Canonichesse si trovarono designate un tale titolo è in un atto Notarile del 1 giugno 1543.
Nel 1547 si concedeva alle Monache la facoltà di stare in perpetuo sotto il regime dei Canonici Lateranensi dell’Ordine di S. Agostino con tutte le altre prerogative e privilegi goduti dagli altri Monasteri dello stesso Ordine.
La giornata monastica era scandita dagli impegni di preghiera comunitaria, di vita comune, guidata dalla Regola Agostiniana.
Il Monastero di Torino iniziava la sua vita in tempi che furono i più terribili vissuti fino ad allora in Piemonte, Torino infatti era occupata dai francesi, tuttavia il Monastero torinese porsperò con insperato rigoglio.
Nel 1549 era Abbadessa del Monastero di Torino la Madre Donna Laura di Saluzzo, “di chiara e benedetta memoria”.
La Corte Sabauda favorì sempre il Monastero; ricorda una monaca: “In comunità ancora adesso si ricordano le visite fatte dai nostri Reali, l’offerta dei nostri pasticcini i così detti “Pan di Pavia” che ancor oggigiorno si fanno nelle grandi festività dell’anno”.
Durante la sua residenza nel Monastero della Misericordia la Comunità visse anche drammatiche vicende, sia nella pestilenza che desolò Torino nel 1630, sia nella guerra civile.
Nel 1798 le truppe francesi entrarono in Torino. Durante la Rivoluzione francese il Monastero venne soppresso con decreto del 20 novembre 1800, dopo l’entrata dei Francesi in Città. Così le Monache, private d’ogni loro sostanza, ramingarono qua e là per 15 anni in cerca di un tetto
ospitale.
Passato questo periodo le monache ritornarono al Monastero di Piazza Carlina, che in quegli anni era stato convertito prima in ospedale per i soldati francesi, poi in magazzino granaio.

Dodici monache incominciarono a prenderne possesso e molte altre, sia Lateranensi che di altro Ordini claustrali, si aggregarono alla Comunità di Torino.
Nel 1848 una gran parte del Monastero fu requisita come caserma.
Una nuova espulsione si ebbe nel 1854, i funzionari del Governo requisirono il monastero per destinarlo a usi concernenti la salute pubblica.
Le canonichesse furono ospitate per tre anni nel Casino Barolo, tra Lucento e Altessano, proprietà della marchesa Giulia Falletti di Barolo. La Comunità di fermò per tre anni e tre mesi nel Casino Barolo, e la comunità fu funestata dalle calamità dei tempi e dalla morte di tre religiose professe e due converse, mentre poi due Postulanti e una Novizia tonarono alle loro case e quattro Monache Professe, con l’autorizzazione della Santa Sede, uscirono dalla Comunità.
Le suore racconteranno che al Casino Barolo si faceva la fame e molte monache si ammalavano.
Dalla Villa Barolo il Monastero si trasferiva nel novembre del 1857 a Chieri, in una Casa già appartenuta ai Marchesi Benso di Cavour.
La casa era alquanto insalubre e anche in quel periodo molte monache si ammalarono di tisi. Da alcuni documenti ritrovati si evince che dal 1890 al 1900 morirono 19 monache, in un solo anno, dal febbraio 1894 al febbraio 1895 ci furono ben sette sepoluture, morivano anche monache molto giovani.
In quella sede le monache ricevettero anche la visita di Don Bosco, al quale “le madri espressero a le loro pene e perplessità…, ma egli profetizzò che il monastero non si sarebbe spento, ma che sarebbe rifiorito… Infatti così fu.
Furono anni difficili e le suore si fermarono nella malsana casa di Chieri fino al 26 Agosto 1901, giorno nel quale si trasferirono nella nuova casa di Rivoli Torinese, grazie alla Principessa Maria Clotilde di Savoia che acquistò la Villa di via Rombò, una piccola villa che fece da Monastero.
“La principessa Maria Clotilde di Savoia comperò il monastero e la chiesa invece fu edificata a spese della comunità con sacrifici e sudore delle monache. La principessa Maria Clotilde sborsò la somma per comperare il monastero”.
Nel 1940 scoppiava la seconda guerra mondiale, e in quegli anni anche Rivoli venne bombardata.
Nei diari delle monache si racconta quel periodo difficile per il monastero e la città… che vale la pena di leggere. Consigliate dal loro Cappellano anche le monache identificarono un rifugio dove nascondersi nei bombardamenti. Dapprima fu svuotata una cisterna nel giardino (ci volle un intero pomeriggio per svuotarla), ma si accorsero che non era un buon rifugio, quindi attrezzarono la cantina con paglia sui pavimenti, dove riparavano e dormivano durante i bombardamenti.
Sono lunghi e articolati i racconti delle monache relativi a quel periodo.
Ma il bombardamento della notte del 4 febbraio del 1943, riportato anche dai libri di storia rivolese, fu decisivo per il convento… il monastero di Santa Croce fu gravemente danneggiato.
Una monaca racconta: “… La notte tra il 4 e il 5 del mese di febbraio 1943, verso le 10, nella casa davanti al nostro monastero cadde una bomba di grosso calibro, ci furono 16 morti e il nostro monastero per lo spostamento di aria fu tutto sconquassato. La Chiesa, l’appartamento del Padre, della commissionaria e del giardiniere rimasero incolumi, il Genio Civile per interessamento di Fr. Angelo Borgogno, fece le debite riparazioni…”

Quella notte cambiò la vita delle monache che, per la prima volta, così com’erano, spaventate e scioccate dall’accaduto, uscirono dal monastero.
Si racconta che mai prima di allora le Monache avevano visto le case, le strade, la gente che circondava il monastero, molte di loro non sapevano neppure che cosa fosse un camion e tanto meno un’automobile: qualcuna infatti era chiusa in monastero dal 1901, quando la comunità da Chieri si era trasferita a Rivoli.
Quella notte anche gli animali che le suore allevavano scapparono per lo spavento: il maialino, le galline… solo la mucca rimarrà tranquilla nel suo riparo.
Dunque i bombardamenti del 1943 distrussero il Monastero di Rivoli, costringendo le 25 religiose rimaste, dopo essere ospitate da alcune famiglie, a sfollare a Spoleto, ove furono accolte e ospitate per tre anni presso l’Istituto S. Angelo delle Suore del Bambino Gesù. Cinque monache rimasero a Rivoli, per sistemare le cose rimaste (i mobili e le suppellettili ancora recuperabili, furono trasferite al Salotto Fiorito, alla Collegiata Alta, ai Giuseppini) e raggiunsero solo in un secondo tempo le consorelle a Spoleto.
Finita la guerra, a luglio del 1945, alcune monache partirono per fare ritorno a Rivoli.
Col consenso dei superiori fu venduto a un certo sig. Pejrani il vecchio monastero e, col ricavato, venne acquistata Villa Tilde, proprietà della Contessa Anita Borghi. Tra le entrate straordinarie del Convento registrate sul libro mastro, nel 1947 si troverà infatti l’importo di £. 1.000.000 dal sig. Giorgio Pejrani.
Così si trova scritto nei ricordi di una monaca: “Col consenso dei Superiori fu venduto il vecchio monastero sinistrato a Peyrani e col ricavato si acquistò la Villa Tilde, proprietà di Anita Borghi.
“Quando si ritornò a Rivoli per poter esser sistemate, grandi furono in principio i sacrifici, le sorelle converse lavavano il bucato all’aperto dalla stalla, dentro a delle botti segate a metà, quelle che servivano in refettorio quando pioveva o nevica si bagnavano, perché la stanza di tramezzo alla piccola cucina e il refettorio era occupata da Bisterso (affittuario della contessa Borghi) che non voleva andar via.

I primi tempi furono alquanto disastrosi, sebbene la M. Teresa Verardi (Abbadessa) già a Spoleto avesse raccolto e serbato qualche quintale di grano, una brenta di olio, altre cose e un bel gruzzoletto di denaro per far fronte alle prime necessità del nostro ritorno a Rivoli. Non essendoci ancora la clausura normale le suore andarono con l’aiuto dei buoni e dei chierici dei Servi di Maria a ritirare tutta la roba e il mobilio lasciato nei diversi posti prima di partire per Spoleto. Al nuovo monastero mancavano i parlatori e la chiesa, il coro serviva e per adesso serve anche da chiesa; l’Altare e i banchi centrali li donò il Conte Gino Cavalli dell’Olivola.
La Sig. Anita Borghi non andò via dalla villa fin dopo S. Martino, perciò la sacrestia faceva da refettorio, da laboratorio e da sala di ricevimento. Quando essa andò via ci si sistemò meglio, ma ci rimaneva ancora l’inquilino più terribile da mandar via, il sig. Bisterso; sfrattarlo non sarebbe stato decoroso per una comunità religiosa. M. Sobrito gli offerse l’abitazione della nostra commissionaria che avevamo a nostro uso in via Rombò, adiacente alla nostra Chiesa, lui accettò e si sistemò meglio…”

E ancora: “Madre Sobrito avendo fatto fabbricare i parlatori, la comunità si indebitò di un miglione, e Mons. Bottino per pagare il debito consigliò di fare nei paesetti dei dintorni di Torino la questua che durò due anni, e il debito fu saldato, vendendo anche il casaletto di Vitorchiano e il terreno di Donna Brigida Gili (che aveva ereditato)…”
Le suore intanto ricamano corredi per le spose, si curano dell’orto, del giardino, della vigna, del noccioleto e degli animali, il maialino, le galline e conigli.
Nel (1969?) crolla la cupola della Chiesa di via Rombò, che verrà demolita.
Intorno al 1985 (?) una parte del terreno di proprietà del monastero verrà espropriato per la costruzione della Casa di Riposo di via Querro. Con una parte del ricavato dall’esproprio verrà rifatto il tetto .
Molti rivolesi intanto frequentavano il monastero e aiutavano le suore nei lavori di manutenzione, nell’allevamento degli animali, e alcuni di loro ci hanno lasciato testimonianza. Nel monastero di via Querro, per mancanza di vocazioni, rimarranno solo 12 monache.
Gli ultimi anni del Monastero sono stati i più difficili, sono rimaste solo sei suore: la più giovane di 75 anni e la più anziana di 97 anni, troppo anziane per ricamare e badare all’orto, vivevano esclusivamente della loro misera pensione sociale e delle offerte che qualche rivolese di vecchia data non aveva mai dimenticato di fare. Il monastero rischiava di chiudere, soltanto la presenza delle postulanti filippine e della madre maestra proveniente dal monastero di Spoleto, ha ridato vita alla comunità. Nel 2015 rimasero solo le monache filippine. L’ultima italiana, Madre Margherita, è mancata il 9 novembre del 2014.
Al Cimitero di Rivoli esiste una tomba della Comunità che ospita i feretri delle suore morte negli anni, non riporta foto o nomi, l’unico nome con la data della morte è Madre Margherita, l’ultima monaca deceduta a Rivoli.